Una mostra antologica dell’attività di Piero Catalano è il solo modo per poter percepire la complessità di spunti che alimenta il lavoro di questo artista. Le sue opere emanano una tensione creativa in continuo divenire, passando da forme compiute ad altre stilizzate, dalla ricerca del dettaglio all’indeterminatezza, non meno affascinante, di ciò che sembra lasciato alla stato di abbozzo, di rapido appunto, fors’anche di inaccompli.
È l’artista stesso a scegliere il titolo di questa esposizione: Metamorfosi tra cera e creta.
Il termine, di antica seduzione, attraversa l’immaginario letterario di poeti lontani (Gilgamesh, Apuleio, Ovidio) e si trasmette a quello figurativo dei pittori e degli scultori.
Dall’originario significato di trasformazione della forma, ci si accorge di come con “Metamorfosi” l’opera di Piero possa suggerire un mutamento
anche nella concezione della materia.
Una materia chiamata non solo a dare sostegno visivo all’opera, ma ad instaturare con la forma un dialogo emotivo dal significato tutt’altro
che superficiale.
Poco più che ventenne infatti, nella fonderia Venturi Arte, Piero conosce e sperimenta la magia della creazione in cera, medium fragile che si fa tuttavia antiporta alla fusione, ben più duratura, nel bronzo. Già in questo processo, che il passaggio alle alte temperature avvicina ad un itinerario di purificazione alchemica, assistiamo all’imporsi dellametamorfosi sulla materia, e la forma, rimasta inalterata, ne acquista una preziosità intrinseca dalle autorevolissime origini. Le cesellate figure bronzee di Ammannati o di Giambologna, non presentavano forse, nel loro embrionale apparire, l’aspetto di febbrili abbozzi in cera?
Una parentela probabilmente non casuale lega i bozzetti plastici di quei grandi maestri a certe opere di Piero, perché a loro familiari sono l’elasticità di un torso femminile, lo scatto improvviso di un’anca, l’assenza di identità fisiognomica nel volto, quando quest’ultimo è presente. In parallelo con tali esperienze il nostro scultore avverte il bisogno di lasciare sull’opera le tracce del processo inconscio, e questo glielo consente il contatto, non filtrato, con la creta.
Si percepisce bene la seduzione di un contatto con il materiale che le dita dell’artista richiamano quale atto, palpitante, vitale, ancestrale, dell’attività creativa.
Nella scultura di Piero l’immagine della donna si fa ispirazione e guida. È anche l’itinerario di un percorso che vede la femminilità tingersi di tutte le sfumature: dalla maternità esplicita come può esserlo una Venere paleolitica a quella, sacralizzata, della Madonna; dalla delicata sensualità sussurrata dal fluire della linea sul seno e sui fianchi, a forme di un erotismo più esibito quali non sarebbero dispiaciute allo spirito più ferino di Rodin.
Piero si fa anche tentare dall’astrazione, come in Evoluzione dei tema “2000”, dove l’emancipazione della forma dal suo rapporto di mimesi col reale fa assurgere l’opera ad esempio di arte “concreta”.
Di segno apparentemente opposto sono i suoi sassi dipinti. Qui l’intervento del colore conduce l’artista ad indagare le potenzialità della cromia, conferendo con essa la sua personale identità al sasso, la cui forma accidentale è stata ottenuta dal potere erosivo dell’acqua di fiume.
In questa mostra Piero Catalano ci spalancab le porte (perché più di una porta ha il suo fervore creativo) del suo immaginario così come del suo quotidiano, venati entrambi di attese, aspirazioni, ansie, passioni. Già leggendo queste poche righe il visitatore si sarà accorto come gli alleati di questo racconto per immagini siano gli elementi del fuoco, della terra, dell’acqua.
Nel chiedermi se un qualche ruolo non possa averlo avuto anche l’aria, mi compaiono davanti i disegni di Piero, fatti di linee sottili e continue, leggere come lo sono spesso le nuvole.
Fabio Chiodini